Elenco blog personale

martedì 27 dicembre 2011

Orwell, i Pink Floyd e la Legalità Inutile



C’è un album dei Pink Floyd del 1977 che si intitola “Animals”. E’ un disco bellissimo, troppo sottovalutato secondo me, anche grazie (o per colpa) del successivo “The Wall” che ne ha oscurato la grandezza.

Comunque, Animals è composto da soli cinque brani, di cui il primo (Pigs on the wing part. 1) e l’ultimo (Pigs on the wing, part. 2) della durata di circa un minuto e mezzo ciascuno. Gli altri tre brani (Dogs, Pigs –three different ones- e Sheep) compongono la struttura del disco, che riprende e rielabora il concetto di società introdotto da G. Orwell ne “La Fattoria degli Animali”.


“Che palle ‘sto post!”. Un attimo e arrivo al dunque.


Allora, Orwell ha scritto “La fattoria degli animali” come satira sul regime comunista, con gli animali come allegoria dei personaggi in carne ed ossa. Quindi, il maiale Napoleone rappresenta Stalin, il Vecchio Maggiore (che è sempre un maiale, nel senso di animale..) è Karl Marx, il cavallo Gondrano la classe lavoratrice etc. etc….

Animals suddivide la società britannica degli anni ’70 in tre categorie: i Maiali ovvero i detentori del Potere (politici, imprenditori, faccendieri); i Cani che, esattamente come nella Fattoria di Orwell, sono i lecchini dei maiali, gli arrampicatori sociali privi di scrupoli e pronti a sbranare chiunque si metta tra loro ed il successo; e le Pecore, coloro che, spesso loro malgrado, si sottomettono ai poteri forti, ed hanno costantemente bisogno di un leader cui fare riferimento. Noi tutti, insomma.


Di Pecore, all’esame di Stato, ce n’erano ben 650. Un bel gregge. Non mancava nessuno: c’era il povero patrocinatore come me, c’erano gli abogados espanol che tentavano la rivincita italiana, c’erano agenti immobiliari, operai/impiegati che tentavano di saldare il proprio debito scolastico con i genitori. C’erano addirittura degli ultrasessantenni, la cui presenza per me rimane a tutt’oggi misteriosa.


E, ovviamente, c’era la Commissione. Tutte persone normali, rispettabili, nella norma, fatta eccezione per la Presidente, un’austera signora ultrasettantenne, occhialini poggiati sul naso, scialle sulle spalle e cappellino chic costantemente calcato in testa.

Ebbene, costei mi ha ricordato un incrocio tra i Cani Floydiani, e il Gondrano Orwelliano, il cavallo che nella Fattoria degli Animali muore di lavoro e che, per tutta la durata del romanzo, ripete: “Lavorerò di più!”, nonostante sia allo stremo delle forze.

Il primo giorno d’esame, la Illustre Presidentessa della Altrettanto Illustre Commissione ci ha letto il Decreto Ministeriale contenente le regole per lo svolgimento dell’esame e per la correzione degli elaborati. E va bene. Ma, siccome la lettura era “un obbligo di Legge” previsto dal Decreto stesso, ci ha riletto il medesimo testo anche le successive due mattine.


Lo stesso, identico testo.


Noi abbiamo espresso il nostro stupore, tramite un forte vociare (qualcuno, confondendosi nel vociare generale, ha anche invitato la Illustre Presidentessa a far visita a quel posto dove, pare, tutti mettono in vendita o addirittura regalano la loro parte anatomica posteriore, comunemente denominata “ano”). La nostra (piccolissima) protesta non era tanto dovuta ad uno spirito di “disobbedienza civile”, quanto al fatto che noi eravamo lì per sostenere una prova della durata di sette ore, per tre giorni, per un totale di 21 ore, ed erano già le 9:30. Insomma, l’obiettivo della prova era sostenerla, la prova, non certo perdere un buon quarto d’ora/venti minuti per sentire il testo di un Decreto con regole che già conoscevamo tutti, per averle sentite il giorno prima.

Comunque, tant’è.

Ovviamente, la Legge prevedeva altresì che i candidati non potessero usufruire dei servizi igienici per le prime tre ore dall’inizio della prova. Tre ore.

A me sembrano tante.

Ed infatti, dopo un’ora e mezza, a tutti scappava tantissimo.

Il nostro intento era quello di andare in bagno e, senza troppi giri di parole, pisciare. L’intento della norma, pardon, la ratio della norma, è (evidentemente) quello di evitare che tutti si fiondino in bagno per discutere della prova. O per usufruire dei telefoni cellulari abilmente nascosti (nonostante l’accurata perquisizione all’entrata). O ancora per consultare eventuali bigliettini. Ratio legittima e condivisibile, che i compilatori del Decreto hanno correttamente inserito.

Ora, però, se il bagno, per volere della Illustre, era presidiato dagli agenti della Polizia Penitenziaria che (giuro) si piazzavano dietro le porte e tendevano l’orecchio (l’ho visto coi miei occhi…) per verificare l’effettivo flusso urinario di ciascun candidato; se era possibile accedere ai bagni solamente dietro consegna del proprio documento di identità e di apposito biglietto numerato (da 1 a 6); se ogni entrata ed uscita veniva adeguatamente trascritta su un apposito registro, completo di generalità del candidato piscione e degli orari di entrata ed uscita; ebbene, viste tutte queste precauzioni, non sarebbe stato un gesto di intelligenza permettere ai candidati di andare al bagno ANCHE nelle tre ore di coprifuoco?

Ovviamente no.

Perché? Perché lo dice la Legge.
E voi candidati, testuali parole della Illustre, “siete tenuti, in quanto futuri avvocati, a rispettare la Legge”. Concetto peraltro sbagliato sotto numerosissimi punti di vista.

A conferma dell’erroneità dell’applicazione indiscriminata della regola anti-piscio, dopo un’ora e mezza, e cioè intorno alle 11:30, mezzogiorno, la Illustre è stata costretta a capitolare, viste le esigenze fisiologiche pratiche dei candidati. Come volevasi dimostrare.


Ciliegina sulla torta.

L’esame di Stato è caratterizzato dal fatto che i candidati devono scrivere i propri elaborati evitando ad ogni costo eventuali segni di riconoscimento, al fine di garantire una certa trasparenza in fase di correzione. Quindi, è necessario utilizzare una biro di colore nero, non bisogna saltare alcuna riga, non bisogna (ovviamente) firmare l’elaborato, etc, etc.

Ovviamente, vista questa sacrosanta regola, da anni e anni (e anni) è buona usanza derivante dall’intelletto non consegnare la brutta copia, che di segni di riconoscimento ne ha a quintalate.
Anche quest’anno, pertanto, una volta lette le tracce da parte della Illustre, ed in attesa della consegna delle copie delle tracce stesse, ciascuno di noi si è affannato a scrivere qualunque cosa sul foglio destinato a brutta copia, tipo insulti alla Commissione, Articoli del Codice a muzzo (o ad minchiam, per essere tecnici). Dopo circa mezz’ora dall’inizio della prova, la Illustre se n’è uscita annunciando al suo bel microfono che le brutte avrebbero dovuto essere consegnate unitamente alla versione finale dell’elaborato.


Qui i borbottii si sono trasformati in articolate bestemmie.

La Illustre, pertanto, si è premurata di telefonare al Ministero (…), ove le è stata confermata la necessità di consegnare ANCHE la brutta copia.

A che pro tale regola? La Illustre non se l’è neanche domandato, perché (parole sue) “E’ previsto per Legge”. Quindi, è giusto. O meglio, poco importa che sia giusto o utile: ciò che conta è che sia previsto per Legge.

Ecco, al di là dell’utilità o meno delle regole sopra elencate, io credo che questa categoria di persone abbia contribuito alla deriva della nostra società.

Persone che perdono totalmente contatto con la realtà, e credono che qualunque regola scritta proveniente dall’Autorità sia da rispettare ad ogni costo, anche se inutile o addirittura dannosa.
Hanno BISOGNO di crederlo.
Persone la cui integrità morale di basa esclusivamente sul rispetto cieco dei dogmi.

Per carità, la civiltà impone di seguire le regole, ed è un bene che ognuno segua le regole, sennò ci sarebbe l’anarchia. E su questo si potrebbe discutere veramente tanto…


Non posso, tuttavia, non provare un vago senso di terrore all’idea di dovere ubbidire ciecamente a qualunque precetto proveniente dall’Autorità, in quanto le Autorità sono persone come me, e pur avendo sicuramente una preparazione ed una competenza nettamente superiore alla mia, non per questo hanno necessariamente sempre ragione. Come viene spesso ampiamente dimostrato nella pratica.

E, soprattutto, se mi abituo ad ubbidire ciecamente all’Autorità per minchiate come quelle sopra citate, un giorno le Autorità, che sono persone come me ma hanno interessi (economici e non solo) molto superiori ai miei, emaneranno regole esclusivamente per favorire i loro interessi e penalizzare i miei, e io non me ne accorgerò.

Anzi, godrò.

E non sono masochista.