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lunedì 16 luglio 2012

Una visita inattesa, parte seconda

"Non stia lì in mezzo alla stanza. Si accomodi.".
Per un istante, entrando nella biblioteca e non vedendo nessuno, ebbe la convinzione che tutto quello che gli era accaduto nella mezz'ora precedente fosse stato frutto della sua immaginazione.
Per un istante, entrando e non vedendo nessuno seduto sulla poltrona dove fino a mezz'ora prima stava seduto il suo poco gradito ospite (o meglio, ospite del Senatore, dato che quella casa e quel ricevimento erano suoi), ebbe chiaramente la sensazione di aver vissuto uno di quei rari casi di allucinazioni collettive.
Ora, tanto improvvisamente quanto era giunto, quell'istante svanì al suono di quella voce tanto umana, quanto disumanamente irreale, impossibile, irragionevole.
Si girò, e rimase sorpreso da ciò che vide.
La prima cosa che pensò fu: "Ha scelto per noi: vuole essere una lei. Devo ricordarmi di dirlo al Primo Ministro...".
Questo pensiero irrazionale ed infantile era necessario, sentiva che un po' di ironia nera gli avrebbe permesso di non uscire di senno.
Subito dopo, però, pensò: "...Se mi lo rivedrò,il Primo Ministro...".
"Spero che la mia scelta sia di suo gradimento, Eminenza. Ho pensato che avere a che fare con una donna avrebbe reso la nostra conversazione più...come dire...stimolante.".
Si sentiva le membra come se fossero di marmo.
"E inoltre, in questa veste, la mia naturale indole ostile –per usare un termine immediato, ma certamente inopportuno –passa decisamente in secondo piano. Come vede, Eminenza, mi sto attivando al massimo per renderle le cose più facili. A dispetto di quello che si crede di me, ho molto a cuore il benessere di voi uomini.".
"Perché?...".
Non riuscì a dire altro. La situazione era troppo assurda, persino buffa, e di tutti i possibili discorsi che si era preparato, cominciò la sua partita con la Morte con quell'unica parola, la sola che avesse escluso fin dall'inizio.
"Per quale motivo...".
"Oh, lei mi delude, Eminenza! Non penserà davvero che tutto si riduca a questo? Alla risposta a un semplice perché? Un uomo di cultura come lei, e di riconosciuta intelligenza...".
"Al momento la mia...".
"Non usi quel tono con me, Eminenza. Sono pur sempre un ospite! Procediamo con ordine: mi sembra di averla gentilmente invitata ad accomodarsi.".
Scelse la poltrona più vicina senza fare un fiato, e si sedette.
Evidentemente quella fase dell'incontro era perduta.
Decise, per il momento, di fare la parte dello spettatore, in attesa di capire le Sue intenzioni.
Bisognava trovare una breccia, un punto debole, a tutti i costi: aveva dalla sua la forza della Vita, della Ragione.
E Dio, ovviamente.
Seguì con lo sguardo la sua ospite che si dirigeva verso l’angolo bar.
"Mi servo da bere, se non le dispiace. Sa, non sono molte le occasioni in cui posso permettermi di farlo. La mia attività richiede un impegno costante, e nella quasi totalità dei casi, non è delelgabile a nessun altro.".
"Oh, lo posso immaginare...".
Non un granché, come risposta.
E neanche Lei sembrò molto soddisfatta, per la verità.
Si girò verso di lui, nel bel mezzo della preparazione di quello che secondo la modesta esperienza di Sua Eminenza sembrava essere un White Russian, e lo guardò con un'espressione terrificante.
Le apparenze contano, è vero, ma l'essenza di qualcuno traspare comunque da un infinità di particolari che, in fin dei conti, hanno più peso dell'aspetto esteriore. Isomma: la Morte è pur sempre la Morte, anche se vestita con un elegantissimo abito da sera.
"Lo può immaginare?! Lo può immaginare...No, che non può farlo. Ed è una fortuna per lei, che non possa! Perché una sola rapida sbirciata alla milionesima parte del mio lavoro la farebbe sprofondare nell'abisso della follia e le farebbe desiderare di non essere mai nato, Eminenza!".
Due a zero, palla al centro.
Riportò la sua attenzione al bancone del bar, e finì di preparare il suo cocktail. Poi cominciò a prepararne un altro.
"Martini Bianco on the rocks, vero?".
"Veramente non mi sembra il...".
"MARTINI BIANCO ON THE ROCKS, VERO?".
Non gli era concesso alcuno spiraglio: la partita la conduceva Lei. Anzi, l'impressione che ebbe in quel momento fu che non ci fosse alcuna partita da giocare.
"Senta, Eminenza.", continuò Lei, con un tono della voce diverso, non più divertito e –a suo modo –ironico come prima, ma quasi flebile, deluso, rassegnato. "Ormai quel che fatto è fatto.".
Si avvicinò e gli porse il Martini.
"Spero di non aver esagerato col ghiaccio...", e si sedette sulla poltrona di fronte alla sua, con una compostezza e una grazia incredibilmente naturali: gli sembrò quasi di avere di fronte Rita Hayworth.
“Con che razza di creatura ho a che fare?”, pensò, non riuscendo a nascondere a sè stesso un moto di ammirazione. “Davvero la potenza di Dio è senza limiti.Perchè anche Lei,ne sono sicuro,è una creatura dell'Altissimo”.
"Quello sguardo mi fa dubitare della sua virtù, Eminenza! Non credevo che fosse sufficiente un bel paio di gambe per suscitare in lei...".
Questo era troppo: una caduta di stile non degna della figura che aveva di fronte,oltre che un'offesa intollerabile. Non attese un secondo di più e contrattaccò.
"Ha varcato il limite! Se crede che io mi faccia insultare da Lei, si sbaglia di grosso. Forse non si rende bene conto della situazione, Signora...".
"Si calmi, e si rimetta seduto.".
"IO STO IN PIEDI QUANTO MI PARE E PIACE!!".
In realtà non si era affatto reso conto di essersi alzato.
"Eminenza...".
"...LEI COMPARE QUI COME SE FOSSE LA COSA PIU' NATURALE DEL MONDO, GETTA NEL PANICO TRE RISPETTABILISSIME PERSONE...".
"Eminenza..."
"...SI COMPORTA COME UN PADRONE IN CASA PROPRIA MENTRE NON E' NIENT'ALTRO CHE UN OSPITE –PER DI PIU', INDESIDERATO...".
"Eminenza...".
"...SI ATTEGGIA A DIVA DEL CINEMA DEGLI ANNI TRENTA, GLISSANDO IN MODO INTOLLERABILE SUL MOTIVO DELLA SUA VISITA –PER DI PIU', INDESIDERATA...".
"La prego...".
"...MI INSULTA COME UOMO E COME SERVO DI DIO ONNIPOTENTE..."
"Via, non mi sembra il...".
"...E PRETENDE CHE IO ME NE STIA SEDUTO?".
"Riportiamo il discorso nei ranghi del...".
"LASCI CHE LE SPIEGHI COME FUNZIONANO LE COSE QUI, NEL MONDO DEI VIVI...".
Si interruppe, il Martini puntato verso la sua ospite come un’arma, il respiro affannato.
Non lo fece per la sorpresa di aver dato uno sfoggio di coraggio inaspettato.
Non lo fece neanche per lo spavento delle conseguenze che avrebbe prodotto il suo gesto: era convinto che ormai fosse necessario giocarsi il tutto per tutto, a carte scoperte.
Si interruppe perché Lei stava sorridendo, compiaciuta.
Sorrideva.
Compiaciuta.
"Che meravigliosi esseri siete voi umani!".
Lo guardava con sincera ammirazione.
Le brillavano gli occhi come a un'innamorata che ritrova l'uomo dela sua vita dopo aver percorso l'Inferno a piedi –in senso figurato, ovviamente.
Sua Eminenza si sedette. Non sapeva cosa pensare. Tracannò un generoso sorso di Martini per prendere tempo.
"Per quanto possa osservarvi e studiarvi, non riuscirò mai a comprendervi fino in fondo.".
“Siamo in due”, pensò, ancora ansimante, il bicchiere per metà vuoto.
"Fino a pochi istanti fa era in stato di shock, completamente in balìa degli eventi, incapace di trovare il bandolo della matassa. O sbaglio?".
“No, che non sbagli”, pensò, “ma se credi che sia pronto ad ammetterlo ad alta voce...”.
"Il suo obiettivo principale", continuò Lei, senza aspettare la risposta, "era la sopravvivenza: l'istinto primario di ogni creatura vivente di fronte ad una minaccia sconosciuta. Tutto come da copione.".
Si alzò, e cominciò a camminare –o meglio, a sfilare –per la stanza.
"E' bastato pronunciare una frase di dubbio gusto, mettendo –anche solo per un istante –in pericolo la sua... moralità di essere a tempo determinato, ed ecco che il suo orgoglio di animale superiore ha finito per prevalere, in modo del tutto contrario alla logica, sul suo istinto alla conservazione della vita.".
"Non sapevo che la Morte fosse un'esperta di psicologia...".
"Oh, ci sono parecchie cose che non sa di me, e moltissime non le saprà mai...”. si fermò e si girò improvvisamente verso di lui, seria.
“Mi basterebbe schioccare le dita, sa?".
"Cosa intende dire? Allude alla mia vita?".
"Alludo alla Vita, non solo alla sua. Mi basterebbe schioccare le dita... Ancora meno: mi basterebbe pensarlo, e il Mondo così come lo conosce lei non esisterebbe più. Pensi al battito d' ali di una farfalla, al primo respiro di un neonato, a ogni goccia d'acqua che compone una cascata... Tutti piccoli universi dentro un Universo più grande, a sua volta contenuto in un altro Universo, e così fino all'infinito!".
Sua Eminenza si mosse nervoso sulla poltrona: aveva davanti un Folle Soprannaturale. Un ticchettio insistente disturbò per un attimo i suoi pensieri: i cubetti di ghiaccio del suo cocktail sbatacchiavano senza alcun ritegno contro le pareti del bicchiere.
Tutto a un tratto non era più molto certo della propria fede.
"Ebbene", continuò Lei, "tutto ciò contribuisce alla sopravvivenza della vostra specie. Voi esistete perché ogni più piccolo, insignificante elemento combacia alla perfezione con gli altri, eppure nessuno di voi –dico: nessuno –comprende quanto la Vita sacrifichi sè stessa per permettervi di continuare ad esistere.".
Si toccò il crocifisso che portava al collo: improvvisamente gli tornarono alla mente i film dell'orrore che aveva visto da bambino in seminario, ovviamente all’insaputa degli insegnanti.
Si chiese se qualcuno degli stratagemmi usati dai protagonisti per sopravvivere alle forze del Male avrebbe funzionato anche nella realtà.
“Molto probabilmente, no”, si rispose immediatamente.
"Lei forse si starà chiedendo se sono impazzita."
“Bene! Immortale, istruita, persino sarcastica, e per di più perspicace –oltre che irrimediabilmente folle.”
Quante sorprese ancora aveva in serbo per lui questa Morte?
"Ebbene", continuò, senza aspettare una risposta, "le assicuro che non è così. Io porto con me la consapevolezza di migliaia di anni di esistenza, e so che è impossibile per voi esseri umani comprendere la verità. Tuttavia, essendo un'inguaribile sognatrice, non perdo la speranza di trovare un giorno qualcuno che mi comprenda almeno un po'."
“Aggiungere alla lista di cui sopra: genio incompreso.”.
"Lei rappresenta mezza vittoria, da questo punto di vista, sa? Nessuno prima d'ora era riuscito a tenermi testa tanto fieramente ed intelligentemente. Le assicuro che persone molto più importanti e note di lei –Capi di Stato, Pontefici, intellettuali di fama mondiale –si sono letteralmente arresi, regredendo fino all'infanzia, rinunciando persino alla propria dignità di fronte a me. Lei, no.".
"Bene, sono contento, le faccio anche io i miei complimenti. Sono felice di esserle stato utile, ma adesso se non le dispiace avrei...".
"Per favore, Eminenza, non rovini questo momento! Non ricorda quello che le ho detto poco fa? Quel che è fatto, è fatto.".
Lo guardò con rispetto, e con una certa deferenza, sorseggiando il suo White Russian.
Il bicchiere era ormai quasi vuoto.
“Quel che è fatto, è fatto... possibile che...”.
Un urlo ruppe il corso dei suoi pensieri: proveniva dal corridoio.
In pochi istanti altre voci si unirono alla prima, e un gran numero di persone si affollarono poco fuori dalla biblioteca.
"Mio Dio, chiamate un'ambulanza, presto!!".
"E' terribile!...".
"Com è potuto accadere?".
Alla fine era successo: non era riuscito a fermare il corso degli eventi.
Mentre lui era lì a giocare a rimpiattino, Lei aveva portato a termine il suo lavoro.
Qualcuno era morto.
Le lanciò un'occhiata di puro odio, e si precipitò sul luogo della tragedia.
.
"Largo, fatemi passare!", urlò, ma nel trambusto nessuno parve udirlo.
Si fece comunque largo tra la folla, e, pronto ad assistere al più triste degli spettacoli, si portò a pochi centimetri dal cadavere.
Lì per lì non riuscì a capire di chi fosse il corpo sdraiato a terra.
Poi, improvvisamente, il sangue gli si gelò nelle vene: era un prelato, e stringeva stretto in pugno il crocifisso che portava al collo.
E finalmente capì.
Non avrebbe dovuto spiegare nulla al Primo Ministro, né a nessun altro degli ospiti.
E per quanto riguarda il perdono...
Con il peso della consapevolezza che gli gravava sulle spalle, si girò verso la sua ospite che lo attendeva all'uscita della biblioteca.
Ora aveva assunto il suo aspetto naturale-mantello nero, cappuccio, falce-, e nella scheletrica mano destra stringeva un bicchiere ormai vuoto.
Lo alzò verso di lui, come se volesse brindare alla sua salute, dopodichè il Mondo come lo conosceva svanì.

Una visita inattesa, parte prima

"E' incredibile! Incredibile ed intollerabile!".
"Quanto mai... indelicato!".
"Inaudito...".
"Presentarsi così, di punto in bianco...".
"Senza essere stato invitato, per giunta!".
"Inaudito...".
"In una casa rispettabile come questa...".
"Piena di gente... rispettabile, per giunta!".
"Decisamente... INAUDITO!".
"Come dovrei comportarmi ora con i miei ospiti, eh?".
"Già, come? Dovrebbe andare di là, e dire: -Gentili signori, rispettabili signore, è appena arrivato un ospite molto speciale. E’ qui per uno di voi, ma, ahimé, non vuole dire per chi! E' questione di etica professionale, dice. Perciò, un attimo d’attenzione, per favore...Qualcuno di voi, miei cari, avverte qualche sintomo, come posso dire?, di scarsa salute?-. Così, dovrebbe dire?".
"Ma...sarebbe inaudito!".
"Sa dire solo inaudito, lei, Senatore?".
"Già! Voi parlamentari non dovreste avere un vocabolario un po' più folto, Senatore?".
"Ma...".
"Sì, sì, abbiamo capito, questo tono è quanto meno inaudito...".
"Bisogna escogitare subito qualcosa.".
"Già, Lei è di là che aspetta e...".
"Come ha detto, scusi, Eminenza?".
"Ho detto che Lei è di là. E' diventato sordo a causa del trauma, Signor Primo Ministro?".
"No, no. Stavo riflettendo se sia il caso di chiamarla così. Forse preferisce che ci si rivolga a Lei come se fosse un Lui. Sa, non vorrei che se la prendesse a male...".
"Ma di che diavolo sta farneticando?".
"Eminenza, per cortesia, moderi i termini ! Un uomo di Chiesa della sua levatura!!".
"Me ne frego dei termini, Signor Primo Ministro, se permette!!".
"Inaudito...".
"Oh, la smetta lei, Senatore!".
"Eminenza, mi trovo ancora una volta costretto a ricordarle la sua posizione...".
"La mia posizione è affar mio, Signor Primo Ministro, e di nessun altro! Lei dice che la mia posizione non mi permette di usare certe espressioni? Bene. Ora la cambio. Mi siedo. Sì, ecco, mi metto seduto. Così va meglio, ora?".
"Eminenza, non è proprio questa la situazione adatta per fare del sarcasmo! Abbiamo cose ben più importanti a cui porre rimedio, e dobbiamo farlo solo con le nostre forze, senza interpellare nessun altro. Come si direbbe nella vostra lingua ufficiale...".
"...inaudita altera parte!!".
"Complimenti per il suo latino, Senatore! A quanto pare la sua capacità nel dire la cosa inopportuna nei momenti meno opportuni...".
"Eminenza...".
"Sì, sì, va bene. Ha ragione, Signor Primo Ministro. Manteniamo calma e lucidità, e organizziamoci.".
"Ora la riconosco.".
"Bene, bene. Mi alzo, così rifletto meglio. Allora...sapete, a volte neanche la Fede più integerrima riesce a far fronte a situazioni così assurde...
Dunque...
Bisogna che uno di noi torni di là dagli ospiti. A questo punto si staranno domandando cosa c’è sotto la nostra assenza. Lei, Signor Primo ministro, mi sembra la persona più adatta per intrattenerli...".
"...concordo con lei, Eminenza.".
"Bene. Nel frattempo, un altro dovrebbe andare dal Lei...da Lui...insomma, quello che è...e cercare di capire le sue intenzioni. Certo, i dubbi sono pochi, visto il suo mestiere...comunque, bisogna farle presente che, nonostante sia quel che è – e noi tutti sappiamo QUEL CHE E’, giusto? – ebbene, questo non gli dà il diritto di piombare in una casa di persone rispettabili...".
"Giusto!!".
"Inaudito!".
"Credo, vista la mia posizione (e ringrazio il qui presente Primo Ministro per avermelo ricordato), che questo compito spetti a me, data anche la scarsa, anzi, SCARSISSIMA loquacità dell'Onorevole Senatore questa sera...".
"Ma..!".
"E' deciso! Lei, Senatore, rimane qui seduto tranquillo e in silenzio...”.
"Inaudito..!".
"Lei, Signor Primo Ministro, di là dagli ospiti.".
"Senz'altro, Eminenza.".
"E io.. beh.. io andrò in biblioteca a contrattare con la Morte...!".





Orowe e Maya


“Eccolo! E’ lui! E’ quello giusto!”, esclamò Maya eccitata.
Nessuno condivise la gioia della sua scoperta.
Volse lo sguardo nel punto dove avrebbe dovuto trovarsi Orowe, e ciò che vide fu solo il vuoto. Il nulla assoluto.
Con uno sbuffo di impazienza chiuse gli occhi, diresse il suo pensiero verso l’infinito, e quando li riaprì il vuoto era stato colmato.
“Che c’è?...”, domandò sorpreso ed un po’ infastidito Orowe. Evidentemente era stato distolto inaspettatamente da un’attività piuttosto importante.
Anzi, a giudicare dal suo atteggiamento, spazientito ma quasi rassegnato, non era la prima volta che si ripeteva quella scena. Orowe cercava accuratamente di evitare lo sguardo di Maya, continuando a pensare al lavoro che aveva appena lasciato in sospeso.
Maya non rispose alla sua domanda. Lo guardò intensamente con quei suoi enormi occhi verdi, poi abbassò lo sguardo, assumendo un’aria colpevole. In silenzio.
Orowe cedette.
“Oooh, avanti! Lo sai che sono SEMPRE MOLTO occupato…”.
Maya continuava a tenere gli occhi bassi, muta, alzando lo sguardo verso Orowe solo per pochi secondi, ed esclusivamente per sbattere in modo civettuolo le ciglia.
Orowe sospirò, cercò di sorridere e le si avvicinò.
“Maya, lo sai che sono SEMPRE molto MOLTO  occupato, e il mio lavoro è estremamente delicato. E’ un compito che comporta un’enorme responsabilità, e un giorno, se seguirai…”.
Orowe si interruppe. Maya continuava a guardarlo, senza una parola. Orowe sospirò, guardando verso l’alto un punto immaginario, quasi aspettando che da lì gli arrivasse un segno.
“Avanti. Dimmi che c’è…”, disse rassegnato un istante dopo.
Il volto di Maya si illuminò.
“L’ho trovato! Finalmente io-l’ho-tro-va-to! E’ quello lì”.
Orowe seguì la direzione indicata dal dito di Maya, il suo sguardo percorse in una frazione di secondo milioni di chilometri, attraversando il vuoto siderale come farebbe la lama incandescente di un coltello con il burro, e finalmente lo vide.
“Piccola mia, sei proprio sicura?”, domandò serissimo Orowe.
“Questa volta, sì!”. Fu il modo in cui Maya pronunciò quell’ultimo sì a indurre Orowe a soffermarsi ancora un istante, invece di abbandonare la sua adorata figlia alle sue fantasticherie, come tutte le altre volte.
“Maya, non mi stancherò mai di ripeterti che…”.
“Lo so, lo so! E’ dalla notte dei tempi che mi ripeti la stessa cosa…”.
Orowe sobbalzò. La reazione di Maya era troppo sicura per rappresentare un capriccio dei suoi. La sua bambina stava crescendo. La sua bambina ERA cresciuta, ormai.
Ricordava ancora come se fosse ieri la prima volta che l’aveva tenuta in braccio, secoli prima.
“Va bene. Ti credo.”.
“Davvero?!”. Il volto di Maya si illuminò di una luce nuova, diversa.
Guardò suo padre come mai aveva fatto prima, e in quel momento si creò tra loro un legame indissolubile. Un legame che avrebbe comportato la separazione dei due fino al giorno in cui, alla Fine dei Tempi, tutte le creature dell’Universo si sarebbero ricongiunte nell’Unico.
“Davvero”, rispose Orowe, fissandola negli occhi.
“Quindi, credi che dovrei…..”.
“Quello che credo io non conta. Se TU sei certa che sia quello giusto, sì.”.
Ci fu un attimo di silenzio. Una incredibile tensione emanò da loro.
“Ma questo significa…”, disse allora Maya, gli occhi velati dalle lacrime e la voce rotta dal dolore.
“Sì, Maya. Questo significa che…”. Anche Orowe non riuscì a finire la frase.

 “Ho aspettato da sempre questo momento, e adesso che è finalmente arrivato…”, disse Maya con un flebile filo di voce.
“Maya, sapevi che un giorno avremmo dovuto affrontare questo momento. Anche noi, che ci crediamo superiori alla Vita stessa, dobbiamo sottostare alle sue regole. E’ scritto.”.
“Ma…”.
“Niente ma! Neanche per me è facile. Tu sei la mia unica figlia, e per l’eternità rimarrai l’unica. Questo è il Suo volere, è stato deciso così prima ancora che noi fossimo creati, e non c’è nessuno che possa impedire che si compia. “.
“Ma forse tu…La tua influenza è forte su di Lui, papà. E potresti…”.
Orowe la interruppe con un gesto perentorio della mano.
“Questo è troppo anche per me, piccola mia. Mi spiace.”
Si abbracciarono.
Una luce intensissima invase lo spazio intorno a loro, dove prima c’era solo il nulla.
“Vedi? E’ il segno che è la scelta giusta.”, disse Orowe, e a Maya parve di vedergli compiere un gesto repentino con la mano approfittando della fortissima luce, come per asciugarsi gli occhi dalle lacrime.
“Allora…Addio, Padre”.
“Arrivederci, figlia mia. Veglierò su di te e su di lui. Veglierò su di voi”.
Stavano per abbracciarsi nuovamente, quando la luce si spense improvvisamente.
Il vuoto tornò a riempire quella realtà priva di tempo e spazio.
Orowe rimase ancora un istante immobile, in silenzio.
Pensò all’ultima frase detta a sua figlia: per la prima ed ultima volta le aveva mentito. Avrebbe dovuto dirle ‘Ti voglio bene’, e invece l’ultimo saluto alla persona più importante della sua vita era stata una bugia.
Una volta compiuta la scelta, Orowe non avrebbe potuto più seguire Maya, mai più: non gli era concesso. Neanche a lui.
Pensò per un attimo di chiedere una grazia, uno strappo alle regole.
Non aveva mai provato uno strazio simile, un dolore indefinibile e diffuso.
Il dolore è un sentimento umano, adatto a essere viventi a termine, si disse.
Esseri di rango inferiore, senza dubbio.
Però, per un attimo, provò un senso di profonda ammirazione e stima per quegli esseri inferiori: quanta forza ci voleva per sopportare quelle ondate di dolore senza rimedio? Tanta. Troppa.
Forse non erano poi tanto inferiori, questi mortali.
Sospirò, mentre si apprestava a tornare al suo sempiterno lavoro: non c’erano strappi alle regole. C’erano solo regole.
Per l’ultima volta pensò a Maya, e provò un incredibile moto di invidia all’idea che in quel preciso momento due persone, sulla Terra, stavano coronando il loro sogno con la nascita della loro prima figlia. Una figlia speciale.
Era certo che l’avrebbero chiamata Maya. E che le avrebbero voluto bene più della loro stessa vita. La loro unica vita.
Dominò l’ultima ondata di dolore, anche se non potè evitare che una lacrima gli sfuggisse dal viso e si perdesse nel vuoto.
Orowe scomparve, tornando al suo sempiterno lavoro.
Quella unica piccola lacrima, però, avrebbe presto riempito quel vuoto cosmico. Al suo interno vi era la vita, ed una storia intensa.
Abbastanza per creare un nuovo mondo.